Il bilinguismo, utile per i più piccoli

Asili bilingui in russo e francese, classi bilingui in inglese e francese, senza trascurare il tedesco svizzero: questo modello è conosciuto a Ginevra, città internazionale, e si può trovare anche a Friburgo e Bienne, città più o meno bilingui. Resta tuttavia un modello poco diffuso, nonostante sia importante. I ricercatori credevano, negli anni ’60, che la commistione delle lingue rallentasse lo sviluppo dei più piccoli, ma studi recenti provano il contrario. Numerose questioni però non sono ancora state chiarite.

L’ opinione più diffusa sino all’inizio degli anni ’60 era la seguente: il quoziente intellettivo dei bilingui è sensibilmente inferiore a quello dei monolingui. Nonostante ciò, esaminando questi studi con attenzione, ci si è accorti della loro scarsa affidabilità, in particolare perché paragonavano persone appartenenti a livelli socioculturali differenti: i bilingui, che provenivano da famiglie immigrate e povere, erano sfavoriti dalla loro origine.

Il cambiamento del 1962

La situazione cambiò nel 1962, anno in cui i ricercatori canadesi Elisabeth Peal e Wallace Lambert rovesciarono la situazione, sottolineando gli errori metodologici degli studi anteriori e apportando dati convincenti, secondo cui i bilingui non erano inferiori ai monolingui. A partire dagli anni 1980-90, un’altra ricercatrice canadese, Ellen Bialystok, della York University di Toronto, dimostrò che i bambini bilingui beneficiavano mediamente di capacità cognitive migliori. La professoressa Martine Poncelet, dell’unità di neuropsicologia del linguaggio e dell’apprendimento all’ Università di Liegi, afferma: «Alcuni nuovi studi di Ellen Bialystok hanno fatto emergere che il vantaggio cognitivo è valido anche per gli adulti e gli anziani. Meglio ancora: il bilinguismo potrebbe ritardare lo sviluppo dell’Alzheimer».

La formula vincente

Negli anni ’60, i canadesi anglofoni iniziarono a percepire la necessità, per i loro figli, di essere bilingui. Wallace Lambert lanciò allora la prima esperienza di immersione bilingue scolare precoce.
In seguito, questa formula si è dimostrata vincente in diversi paesi. L'insegnamento è fornito in parte nella lingua materna (25% o 50%, a seconda della scuola) e in parte nella seconda lingua (75 % o 50% del tempo). Teoricamente, l’immersione ha inizio al terzo anno di scuola elementare.

«L’ obiettivo fondamentale è che questi bambini, al termine del sesto anno di scuola primaria, abbiano raggiunto lo stesso livello di conoscenza delle materie scolastiche dei loro compagni monolingui, avendo anche acquisito una conoscenza approfondita in una lingua diversa rispetto alla loro lingua madre» sostiene Martine Poncelet. L’unità di neuropsicologia del linguaggio e dell’apprendimento di Liegi svolge da diversi anni una ricerca sull’ immersione bilingue precoce nella scuola. I lavori, finora, sono stati svolti su bambini francofoni immersi in ambiente anglofono.
La conclusione principale delle ricerche di Liegi pubblicate nel 2009 è la seguente: non ci sarebbe alcuna differenza al sesto anno di scuola elementare nell’ apprendimento del francese (per quanto riguarda lettura e ortografia) tra bambini monolingui e bambini con immersione bilingue. In più, i bambini bilingui conoscono meglio l’inglese, il che è un vantaggio importante.

Le carte vincenti

In uno studio molto recente svolto su bambini del terzo anno di scuola elementare, subito prima dell’inizio dell’immersione bilingue, gli stessi ricercatori hanno sollevato una questione fondamentale: tutti i bambini possono ricavare un qualche beneficio dall’immersione bilingue?

«La nostra intenzione non è discriminare qualcuno, al contrario, è di mettere in evidenza certe caratteristiche che non faciliterebbero quest’immersione, per aiutare quindi i bambini meno dotati ad accedervi, nonostante tutto» precisa Martine Poncelet. La studiosa ha constatato che il punto chiave non è il QI, ma altre parti del funzionamento cognitivo. Per esempio, la capacità di distinguere adeguatamente i suoni e quella di ripetere parole che non esistono nella propria lingua, la flessibilità mentale, cioè essere in grado di spostare la propria attenzione da un obiettivo ad un altro e l’attenzione selettiva, cioè quella che utilizziamo ad esempio quando rimaniamo concentrati su una conversazione, mentre altre conversazioni avvengono nelle vicinanze. «Se questi elementi sono co-presenti, il bambino ha tutto ciò che serve per acquisire la seconda lingua» commenta Martine Poncelet. «Questo non significa però che debba necessariamente andare bene a scuola».

Il caso dei bambini dislessici

Di qui nasce una domanda scottante: quest’immersione aumenta le difficoltà dei bambini che hanno capacità d’apprendimento limitate? Secondo Martine Poncelet, le esperienze sul campo e la ricerca scientifica indicano che non è così. Alcuni autori canadesi dell’Università dell’Alberta hanno dimostrato che nel caso di bambini disfasici (cioè che hanno un disturbo specifico dell’apprendimento del linguaggio orale), il bilinguismo non li penalizzerebbe nell’apprendere né la prima lingua né altre lingue. Inoltre, l’apprendimento precoce di una seconda lingua non accentua né favorisce la dislessia.

Vantaggio momentaneo o duraturo?

Possiamo trarre ulteriori conclusioni da tutto ciò? Il vantaggio cognitivo messo in luce da Ellen Bialystok si verifica a partire dall’apprendimento di una seconda lingua in un contesto d’immersione scolare precoce? Martine Poncelet e la sua collega Anne-Catherine Nicolay hanno dimostrato che è vero, basandosi sui bambini che hanno beneficiato di tre anni d’immersione bilingue (bambini di 9 anni il cui lessico inglese corrispondeva a quello di un giovane anglofono di 5 anni). Durante i test, questi bambini del 3^ anno di scuola elementare avevano commesso un numero di errori simile a quello dei loro compagni monolingui, ma erano più rapidi nell’esecuzione degli esercizi assegnati. «Questo significa che avevano un maggiore controllo della situazione sul piano cognitivo, il che si traduceva in un tempo di risposta più breve» spiega Martine Poncelet.

Piccola nota in disaccordo: contrariamente a ciò che gli studi di Ellen Bialystok lasciavano intendere, il vantaggio dei bilingui sembra appiattirsi col tempo. Gli psicologi belgi l’hanno constatato su alcuni bambini del 6^anno di scuola elementare e su alcuni adulti, che, da scolari, un tempo avevano partecipato all'immersione bilingue (dal 1989). I risultati di questi due campioni non si discostavano in nulla dalla popolazione monolingue della stessa età. Il vantaggio dato dal bilinguismo è dunque momentaneo? Se sì, perché? Si tratta di questioni ancora aperte.

Tradotto e riassunto da un articolo di Philippe Lambert, originariamente pubblicato su Echo Magazine il 27 febbraio 2014. Traduzione di Giacomo Minute.