Le sfide di uno studente bilingue

Quali sono le difficoltà di uno studente bilingue in un sistema scolastico monolingue?

Lo racconta Patricia Sanchez, latina, ora insegnante d'inglese a New York.

Sono cresciuta nel South Bronx in una famiglia di immigrati dominicani. Nei primi anni novanta mi sono iscritta al sistema scolastico pubblico di New York come ELL («English Language Learner»): all'epoca era così che si diceva di frequentare una classe bilingue.

La prima lingua che ho imparato è stata lo spagnolo, ma già da piccola ho capito che non mi avrebbe aiutato ad avere successo a scuola. Anche se ho imparato l'inglese abbastanza presto per conto mio e interagendo con la maestra, il passaggio da una classe bilingue a una dove si parlava esclusivamente inglese non è stato facile. Mi sentivo completamente fuori posto.

La signora Henderson era una persona gentile, una donna di colore che riusciva a capire cosa provavo, ma non c'era molto che potesse fare. La mia era una classe numerosa e una sola insegnante non bastava a seguire i bisogni dei singoli studenti. In seconda elementare mi sono sforzata per leggere fluentemente come vedevo fare agli altri e soddisfare i requisiti dell'unico programma pomeridiano che la scuola mettesse a disposizione – come scoprii, era un'altra classe sovraffollata con un'insegnante che chiaramente non voleva trovarsi lì. Sfortunatamente questo passaggio mi ha costretta a diventare responsabile per la mia stessa educazione. Ho imparato che se volevo fare progressi potevo contare solo su me stessa.

Nel corso degli anni ho migliorato a leggere, scrivere e parlare inglese. In ogni caso non mi sono mai sentita una madrelingua. Forse non avrò l'accento latino ogni volta che parlo, ma continuo a combattere con le regole e i meccanismi di una lingua che non è la mia.
Al liceo gli insegnanti mi hanno incoraggiata a scrivere e hanno stimolato il mio interesse per la lettura.
Mi hanno fornito un mantra: «più scrivi, meglio riuscirai a leggere e scrivere». Ancora una volta mi sono trovata a pensare da sola alla mia istruzione. Una volta entrata all'università ho potuto constatare il divario che c'era tra me e gli altri. È stata dura, ma il mio innato bisogno di conquistare la lingua inglese mi ha aiutata lungo il percorso dove mi trovo tuttora.

Le sfide nel padroneggiare una lingua e la mancanza di aiuto da parte degli insegnanti mi hanno portata a credere di poter aiutare altri bambini nella stessa situazione che ho vissuto io. Oggi sono un'insegnante d'inglese nel sistema scolastico pubblico di New York. Spero di essere utile a chi, come me, viene da un ambiente svantaggiato dove non ha nessun supporto per lo studio e a scuola si sente a disagio.

Il sistema scolastico pubblico della città è migliorato da quando studiavo io, ma ha ancora molta strada da fare. Il primo passo è avere insegnanti che capiscano le difficoltà e la cultura degli studenti a cui insegnano. Siamo la seconda categoria di persone con cui molti studenti entrano in contatto. I ragazzi acquisiscono una certa visione del mondo a casa e nel quartiere dove vivono; noi insegnanti dobbiamo essere in grado di conciliare il loro mondo con quello scolastico.

Sono cresciuta in due realtà che sembravano inconciliabili. Bilanciarle è stato difficile e al tempo stesso mi sembrava qualcosa di sconcertante. Per me sarebbe stato facile cadere nella tipica vita di un lavoro senza prospettive, restando solo con un'educazione scolastica superiore. Io però volevo più di questo.
L'innata sete di sapere che mi ha fatto procedere nella difficile lingua inglese mi aiuta ad aiutare i miei studenti. […]

Tradotto e riassunto da un articolo di Patricia Sanchez, originariamente pubblicato in The Huffington Post. Traduzione di Andrea Guelfi.