Frequently Asked Questions
Troverai di seguito una selezione curata delle domande più frequenti riguardanti il bilinguismo, pensata per fornire una prima panoramica informativa su questo importante argomento.
Ci sono diverse ragioni.
- I genitori parlano lingue diverse e desiderano che i bambini le acquisiscano tutte e due (chiameremo questa situazione “bilinguismo dentro casa”).
- I genitori parlano la stessa lingua ma sono immigrati in Italia e a scuola il bambino è esposto all’italiano (chiameremo questa situazione “bilinguismo fuori da casa”).
- C’è poi un caso particolare di bilinguismo che si può ritrovare nelle famiglie in cui il bambino, o il genitore, ha un livello di sordità che rende difficile l’acquisizione spontanea della lingua vocale. In questa situazione, ci può essere il bilinguismo fra una lingua vocale (per esempio l’italiano) e una lingua dei segni (per esempio, quella usata in Italia, la LIS). Chiameremo questa situazione particolare “bilinguismo bimodale” (si chiama così perché le due lingue usano due modalità diverse: l’italiano quella acustica e la LIS quella visiva).
In una società multiculturale come quella in cui viviamo, è sempre più frequente che esistano famiglie in cui i genitori parlano due lingue diverse (es. padre italiano, madre rumena) oppure famiglie in cui entrambi i genitori parlano la stessa lingua, ma vivono all’interno di una comunità nella quale la lingua parlata dalla maggioranza delle persone è un’altra (es. famiglia araba in Italia). In questo caso, è perfettamente naturale che i genitori da un lato sentano il desiderio di crescere i figli anche con la propria lingua, oltre all’italiano, ma dall’altro temano che questa decisione possa influire negativamente sull’apprendimento dell’italiano del bambino e sul suo sviluppo cognitivo generale.
Queste preoccupazioni sono infondate: recenti studi condotti in campo internazionale hanno dimostrato che il bilinguismo rappresenta una risorsa importantissima per il bambino, fornendo benefici sia culturali che linguistici.
- dal punto di vista culturale il bilinguismo rappresenta una ricchezza poiché permette al bambino di confrontarsi con due lingue e quindi con due culture diverse, imparando una maggiore tolleranza anche verso le altre culture.
- dal punto di vista cognitivo il bilinguismo ha effetti positivi sia linguistici che non linguistici. A livello linguistico, conoscere più di una lingua permette al bambino di avere maggiore consapevolezza sulla struttura e il funzionamento delle lingue, avvantaggiandolo quindi rispetto ai coetanei monolingui nell’analisi metalinguistica e nell’apprendimento di altre lingue. A livello non-linguistico, inoltre, si è notato che il bilinguismo ha effetti molto positivi anche sull’attenzione: i bilingui, infatti, sono avvantaggiati nelle situazioni che richiedono una buona attenzione selettiva, ovvero una capacità di concentrarsi sulle informazioni rilevanti e di inibire quelle non rilevanti, come capita quando si devono gestire più compiti contemporaneamente o si deve passare velocemente da un compito all’altro. Riportiamo un tipico esperimento che illustra questo punto: ci sono due gruppi di bambini, uno monolingue ed uno bilingue, entrambi sotto i sei anni e una serie di oggetti colorati: triangoli gialli, quadrati rossi, rettangoli bianchi. Un ricercatore chiede ai piccoli di suddividerli in base alla forma. Quando hanno finito, la richiesta cambia: gli stessi oggetti devono essere catalogati in base al colore. E qui salta agli occhi la differenza. Il gruppo monolingue tende a ripetere il primo esercizio, rimettendo triangoli con triangoli e quadrati con quadrati: è normale, a quell’età. Il gruppo bilingue, invece, riesce subito (o più velocemente) a eseguire il compito assegnato, cioè a cambiare la regola di classificazione. Il bilinguismo facilita i bambini in questo tipo di compito. Perché? Probabilmente perché un bambino che domina più lingue ha la mente più flessibile. È più capace di gestire conflitti tra informazioni diverse e selezionare ciò che conta.
- dal punto di vista economico un bambino che cresce bilingue ha maggiori possibilità lavorative, soprattutto in un mercato del lavoro globalizzato quale quello contemporaneo.
Un discorso particolare riguarda il bilinguismo modale e in particolare il caso in cui nasce un bambino sordo in una famiglia di udenti. Oggi ci sono molti ausili che possono aiutare efficacemente lo sviluppo della lingua vocale (l’italiano). Essi, a seconda delle caratteristiche della sordità, vanno dalle tecniche logopediche, agli apparecchi acustici, agli impianti cocleari. Tuttavia, l’acquisizione della lingua vocale non può avvenire dalla nascita. Inoltre, non è un processo spontaneo nel bambino sordo profondo ma è un cammino nel quale va guidato e che richiede uno sforzo particolare e una collaborazione fra adulto e bambino. Inoltre, un po’ come avviene per i percorsi educativi, l’acquisizione dell’italiano nel bambino sordo può avere un pieno successo, un successo parziale e può anche fallire. Invece l’acquisizione di una lingua dei segni è un processo che può avvenire dalla nascita, spontaneo e, se c’è sufficiente esposizione, il bambino sordo la imparerà senza sforzi. Quindi il bilinguismo bimodale ha un vantaggio ulteriore per il bambino sordo: l’italiano serve per la scuola e per l’integrazione nella società ampia udente, mentre la LIS serve come canale precoce e spontaneo di comunicazione. Inoltre, se il bambino sordo è esposto alla LIS oltre che all’italiano, ci si assicura che non resti senza una lingua, anche nel caso l’acquisizione dell’italiano non avvenga in modo soddisfacente.
No, i bambini hanno una capacità innata di discriminare i suoni linguistici delle lingue e non hanno alcuna difficoltà ad apprendere i suoni che caratterizzano due o più lingue diverse.
Il fatto di parlare lingue diverse, inoltre, è percepito dai bambini semplicemente come uno degli aspetti che possono differenziare le persone, così come le diverse caratteristiche della voce, l’espressione e l’atteggiamento comunicativo.
Proprio grazie a questa sensibilità linguistica, i bambini sono in grado di distinguere le parole di una lingua da quelle di un’altra e di impararle. Se crescono in un ambiente multilingue, quindi, i bambini possono apprendere più di una lingua contemporaneamente IN MODO NATURALE e privo di sforzo e senza creare confusione, per effetto della semplice esposizione agli input linguistici.
No, non è affatto vero. I bambini bilingui raggiungono senza problemi lo stesso livello di competenza dei coetanei monolingui in entrambe le lingue. Può darsi tuttavia che il bilinguismo comporti un leggero rallentamento nello sviluppo linguistico nei primi anni di vita; non c’è però ragione di allarmarsi: tale eventuale ritardo viene generalmente recuperato prima dell’ingresso nel mondo della scuola.
Qualche volta i bambini bilingui possono avere uno sviluppo linguistico leggermente più lento dei bambini monolingue. Per esempio, possono iniziare a usare il linguaggio un po’ più tardi dei monolingue, o possono avere in ciascuna delle loro due lingue un vocabolario meno ampio di un bambino monolingue. Tuttavia, recuperano in fretta, le fasi di sviluppo e il traguardo finale sono gli stessi che per il bambino monolingue. Ci possono mettere solo un po’ più di tempo.
No, parlare due lingue fin dalla nascita non ha nessuna ricaduta negativa sull’apprendimento scolastico. A causa della ancora diffusa disinformazione in merito, può talvolta accadere che eventuali difficoltà di apprendimento manifestate dal bambino vengano erroneamente ricondotte al bilinguismo e che quindi si consigli alla famiglia di parlare una sola lingua al bambino. Si tratta di un pregiudizio sbagliato: il bilinguismo non ha alcuna influenza negativa sull’esperienza scolastica. Al contrario numerose ricerche hanno dimostrato che lo sviluppo bilingue offre notevoli benefici a livello cognitivo e può rendere i bambini più predisposti verso l’apprendimento di altre lingue straniere.
No, l’apprendimento delle lingue durante la prima infanzia è qualcosa di NATURALE e privo di sforzo, sia che si tratti di una sola lingua, che di più lingue contemporaneamente. I bambini, sia monolingui che bilingui, sono infatti dotati di una predisposizione innata per l’acquisizione del linguaggio, che permette loro di imparare le lingue senza sforzo e senza bisogno di un’istruzione esplicita. Questa capacità, però, decresce a partire dalla fine della prima infanzia, verso i 5-6 anni, fino all’adolescenza, verso i 12 anni. Ecco perché è importante esporre i bambini il prima possibile ad entrambe le lingue.
Un altro pregiudizio sul bilinguismo è che esso sia utile soltanto se entrambe le lingue sono ad alta diffusione, e che sia inutile, invece, nel caso di lingue parlate solo da una minoranza della popolazione. Ciò è profondamente sbagliato: il bilinguismo è SEMPRE utile, innanzitutto perché il fatto stesso di conoscere due o più lingue, indipendentemente da quali esse siano, offre in ogni caso vantaggi culturali e cognitivi e secondariamente perché è appreso senza alcuno sforzo e soprattutto senza sottrarre risorse cognitive allo sviluppo generale della persona.
Affinché un bambino cresca bilingue, è necessario che sia esposto ad entrambe le lingue in misura sufficiente, che abbia FREQUENTI opportunità d’uso e incentivi a parlare entrambe le lingue. Non è sufficiente, infatti, la semplice esposizione alle lingue, se il bambino non riceve la giusta motivazione ad apprenderle entrambe. Se percepisce infatti una lingua come “meno importante”, potrebbe avere l’impressione di non avere bisogno di impararla. Per evitare che questo accada, potrebbe essere utile mettere il bambino in contatto con persone (parenti o amici) che parlano solo quella lingua, oppure presentargli video o audio nella lingua in questione, in modo da garantire un’esposizione abbondante e diversificata. L’importante è comunque riuscire a mantenere una situazione naturale, evitando di insistere o di mettere il bambino in condizioni imbarazzanti che potrebbero creare un senso di rifiuto e alimentare un sentimento negativo verso la lingua.
Un altro ostacolo potrebbe presentarsi se uno dei genitori non è in grado di parlare e capire l’altra lingua: in questo caso, il bambino capirebbe che parlando nella lingua che il genitore non conosce lo escluderebbe dalla conversazione, e quindi potrebbe essere riluttante a parlare tale lingua quando entrambi i genitori sono presenti. Il bilinguismo può quindi avere maggiore successo se entrambi i genitori sono in grado almeno di capire entrambe le lingue, in modo che nessuno sia mai escluso dalla conversazione.
Per crescere un bambino bilingue è importante esporlo ad entrambe le lingue il prima possibile: aspettando troppo, infatti, si rischierebbe di perdere i benefici cognitivi che il bilinguismo può apportare al cervello del bambino, che è particolarmente plastico nei primi mesi di vita. Non ha senso aspettare che una lingua si sia stabilizzata prima di introdurre la seconda: come detto sopra, il bambino è in grado già dalla nascita di gestire più lingue contemporaneamente senza sforzo e senza creare confusione.
La cosa davvero importante da tenere in mente è che non si insegna ai bambini a parlare, così come non si insegna loro a camminare o a sorridere. Le due cose più importanti per lo sviluppo linguistico sono l’esposizione alla lingua e il bisogno di comunicare. Se i bambini sono esposti a una lingua fin dalla nascita, cioè se le persone intorno a loro usano una determinata lingua nelle diverse circostanze della vita, e se i bambini sentono il bisogno di comunicare con queste persone, allora questa lingua si svilupperà. Se le persone intorno a loro usano due lingue, e se i bambini sentono il bisogno di comunicare con queste persone, allora svilupperanno due lingue.
Molti esperti rispondono di sì e suggeriscono il metodo “un genitore, una lingua” nei casi di bilinguismo dentro casa. L’idea è che ogni genitore parli solo la sua lingua madre con il bambino. Si tratta un buon metodo, ma non è l’unica ricetta per il bilinguismo e qualche volta non funziona. Un potenziale problema è quello del bilanciamento. Se il bambino è esposto a una lingua solo da parte di un genitore, mentre la lingua usata dall’altro genitore è usata anche fuori casa, la prima lingua potrebbe essere considerata “meno importante”. Inoltre il bambino potrebbe non ricevere sufficiente input in questa lingua per diventare pienamente bilingue. Il problema potrebbe aggravarsi se il bambino sa che entrambi i genitori capiscono la lingua usata anche fuori casa. Che fare? Anche qui è una buona idea reclutare nonni, cugini o una baby-sitter monolingui nella lingua sentita come meno importante dal bambino. Quando possibile, è meglio sfruttare l’interazione con le persone piuttosto che usare video o TV. Una cosa importante è di evitare situazioni che il bambino sente come forzate che potrebbero causargli reazioni negative. Per esempio non è una buona idea usare regole rigide come “oggi solo una lingua, domani l’altra”. Un ulteriore ostacolo allo sviluppo di un pieno bilinguismo è quello dell’esclusione. Se uno dei genitori non capisce la lingua dell’altro genitore (supponiamo il cinese), il bambino sa che ogni volta che usa il cinese escluderà uno dei due genitori. Questo potrebbe scoraggiarlo dall’usare il cinese quando tutte e due i genitori sono presenti. Da questo punto di vista il fatto che entrambi i genitori capiscano la lingua usata dal partner può essere un vantaggio.
L’arrivo di un secondo figlio può alterare l’equilibrio in una famiglia bilingue e succede spesso che il secondo figlio sia meno bilingue del primogenito. Infatti, il primogenito tende a parlare al fratellino nella lingua che considera “più importante” e questo riduce l’esposizione del fratellino alla “lingua meno importante” e diminuisce il suo bisogno di impararla. Le soluzioni sono quelle dette sopra: creare situazioni naturali in cui il fratellino deve usare la lingua meno importante (nonni, baby-sitter, cuginetti ecc.).L’arrivo di un secondo figlio può alterare l’equilibrio in una famiglia bilingue e succede spesso che il secondo figlio sia meno bilingue del primogenito. Infatti, il primogenito tende a parlare al fratellino nella lingua che considera “più importante” e questo riduce l’esposizione del fratellino alla “lingua meno importante” e diminuisce il suo bisogno di impararla. Le soluzioni sono quelle dette sopra: creare situazioni naturali in cui il fratellino deve usare la lingua meno importante (nonni, baby-sitter, cuginetti ecc.).
No, assolutamente no. Prima arriva l’esposizione a una lingua meglio è, perché, mano a mano che il bambino cresce, la sua predisposizione naturale all’acquisizione del linguaggio si indebolisce e imparare una lingua diventa sempre di più un percorso di apprendimento, (come imparare a fare le somme), in una situazione formale con insegnamento e sempre di meno un percorso naturale. Questo vale anche per le lingue dei segni. Questo significa che può insorgere qualche problema se lingua dei segni arriva tardi nella vita del bambino, solo dopo che si è tentato senza successo con la lingua vocale, come spesso succede in Italia. Inoltre, anche se le due lingue sono orali, introdurre una lingua in ritardo sull’altra significa massimizzare la probabilità che il bambino consideri la lingua arrivata dopo meno importante, e quindi la eviti. Basti pensare al fatto che molti ragazzini fanno fatica ad imparare l’inglese alla scuola media.
No, non basta, anche se lo possono fare e non provoca alcun danno che lo facciano. La parte più complicata è di far sì che i bambini abbiano un’esposizione a ambedue le lingue che sia naturale e sufficientemente estesa. Non sempre questo obiettivo è di facile realizzazione. Un esempio chiaro riguarda il bambino sordo per il quale spesso l’esposizione alla lingua vocale non è naturale, perché richiede lo sforzo della lettura delle labbra. Questo spiega perché il bambino sordo va particolarmente aiutato, con tutti gli strumenti disponibili.
Tuttavia, anche nel caso di due lingue parlate, ci possono essere ostacoli allo sviluppo di un pieno bilinguismo. La maggior parte delle volte, una delle due lingue a cui è esposto sembra meno importante al bambino dell’altra. Per esempio, se un bambino vive in Italia e uno dei genitori gli parla italiano e l’altro genitore gli parla un’altra lingua (mettiamo l’arabo), il bambino potrebbe decidere che l’italiano è “più importante”, perché è usato, oltre che da un genitore, anche fuori casa. In questa situazione il bambino potrebbe non usare volentieri l’arabo, specialmente se nessun altro bambino intorno a lui lo fa. Cosa fare? E’ bene creare situazioni spontanee in cui il bambino è naturalmente spinto a usare la lingua meno preferita. Per esempio, se ci sono nonni che sanno solo l’arabo, è bene che passino del tempo con lui. Oppure si può prendere una baby-sitter che parla solo arabo oppure, in assenza di alternative, si possono far vedere al bambino cartoni animati o altri programmi per bambini in arabo.
Non tutti i bambini sono uguali, però.Alcuni non sembrano fare una distinzione fra lingua preferita e lingua meno preferita. Tuttavia è molto comune che i bambini si sentano maggiormente a loro agio con una delle due lingue in certe situazioni o per parlare di certi argomenti.
CONSAPEVOLEZZA METALINGUISTICA: Il fatto di conoscere più di una lingua porta i bilingui a sviluppare una maggiore abilità metalinguistica, ovvero una maggiore conoscenza spontanea della struttura del linguaggio. I bambini bilingui sono in grado di notare intuitivamente la struttura e il funzionamento delle lingue e ciò li può avvantaggiare rispetto ai coetanei monolingui nell’acquisizione delle lingue straniere.
DECENTRAMENTO COGNITIVO: i bambini bilingui maturano una precoce consapevolezza del fatto che le altre persone possono vedere le cose da una prospettiva diversa dalla loro. Questo ‘decentramento cognitivo’, noto anche come ‘teoria della mente’, viene normalmente raggiunto dai bambini bilingui circa un anno prima di quelli monolingui. Questo vantaggio sembra essere dovuto al fatto che i bilingui devono costantemente valutare la competenza linguistica dell’interlocutore per decidere quale lingua adottare nel parlare con lui.
ATTENZIONE: la ricerca ha dimostrato che i bilingui hanno generalmente prestazioni migliori dei monolingui quando devono svolgere contemporaneamente due compiti che richiedono attenzione e capacità di selezionare gli stimoli rilevanti, inibendo quelli irrilevanti. Ciò sembra essere dovuto al fatto che le lingue parlate dai bilingui sono sempre attive simultaneamente nella loro mente: in modo da limitare l’interferenza fra i due sistemi linguistici, i bilingui sviluppano un meccanismo di inibizione tramite il quale inibiscono una lingua mentre viene utilizzata l’altra.
Analogamente, tale meccanismo può essere utilizzato anche in altri compiti che richiedono attenzione e controllo esecutivo e migliora le prestazioni quando è richiesto di eseguire più operazioni contemporaneamente o in rapida successione.
Sì, capita spesso che i bambini bilingui usino termini di una lingua quando parlano l’altra. Questo fenomeno, noto come code-switching, è caratteristico del parlato dei bilingui, anche degli adulti, e non deve preoccupare. Il fatto che il bambino usi, ad esempio, un termine italiano mentre parla in ladino, non significa che non conosce o non ricorda la parola corrispondente in ladino, ma magari semplicemente che ha ritenuto il vocabolo italiano più adatto per esprimere ciò che voleva. Si tratta quindi di un fenomeno naturale che non deve allarmare: generalmente, infatti, i bilingui non mescolano le lingue quando parlano con dei monolingui, a dimostrazione del fatto che l’alternanza delle lingue non è dovuta a confusione o a scarsa competenza linguistica.
Come succede fra due lingue orali, anche le parole dell’italiano e i segni della LIS possono combinarsi nella stessa frase. C’è una differenza però: il segno e la parola si possono produrre simultaneamente perché uno è prodotto dalla bocca e uno dalle mani. Questo crea una situazione molto particolare in cui lingua dei segni e lingua vocale sono attivate insieme. Alcuni bambini e adulti bilingui bimodali sono molto a loro agio in questa situazione, mentre altri preferiscono usare o solo l’italiano o solo la LIS.
Capita spesso che con l’inizio della scuola i bambini bilingui tendano ad usare l’italiano più frequentemente: ciò è dovuto principalmente alla maggiore esposizione all’italiano, sia durante l’orario scolastico che nell’interazione con gli altri bambini monolingui, e al fatto che a scuola i bambini imparano molte parole nuove, fra cui termini specialistici dei quali magari non conoscono l’omologo nell’altra lingua.
È quindi normale che il loro italiano si arricchisca e possa venire utilizzato in misura maggiore, e non bisogna temere che questo vada a scapito della lingua di famiglia: anche l’italiano dovesse diventare la lingua dominante per il bambino, egli può comunque raggiungere una perfetta competenza anche nell’altra lingua. È importante mantenere comunque un atteggiamento comprensivo, senza sgridare il bambino per aver usato l’italiano, per non rischiare di fargli assumere un atteggiamento negativo nei confronti dell’altra lingua. Sarebbe meglio, piuttosto, creare delle occasioni in cui il bambino è “costretto” a parlare nella lingua di famiglia (ad esempio con persone monolingui che non parlano l’italiano) e arricchire il suo vocabolario anche in questa lingua, seguendo di pari passo lo sviluppo del vocabolario in italiano.
I disturbi specifici del linguaggio orale si rilevano in bambini che hanno uno sviluppo cognitivo nella norma. La dislessia è un disturbo che riguarda l’apprendimento della letto-scrittura. LE RICERCHE DISPONIBILI NON SUGGERISCONO DI BLOCCARE IL BILINGUISMO. Si è infatti notato che i bambini bilingui con disturbi specifici del linguaggio non hanno prestazioni inferiori ai bambini monolingui con disturbi specifici del linguaggio.
Ci sono poi delle considerazione pratiche che potrebbero suggerire che bloccare il bilinguismo sia contro-producente. Le famiglie immigrate in Italia non sempre parlano italiano correntemente ed anche se lo parlassero potrebbero sentirsi più a loro agio nell’educare i figli nella lingua della famiglia. Chiedere ai genitori di non usare la loro lingua con il bambino è quindi difficile. La lingua della famiglia è la lingua in cui si educa, attraverso cui si convogliano aspetti emotivi. Il bambino bilingue con disturbi specifici del linguaggio deve essere portato ad un servizio apposito e deve essere seguito. In particolare, la sua funzione linguistica deve essere sostenuta e riabilitata. In questo caso, il trattamento potrebbe essere solo in una lingua, l’italiano. Infatti è difficile che esistano specialisti che possano rieducare in altre lingue in Italia. Tuttavia, l’eventualità di una rieducazione anche nell’altra lingua deve essere valutata e se possibile anche perseguita.
In Italia le persone bilingue sono molti milioni. Infatti, oltre al bilinguismo fra italiano e altre lingue maggiori (l’inglese, il francese, lo spagnolo, l’arabo, il cinese ecc.) è ancora molto diffuso il bilinguismo fra italiano e uno dei tanti dialetti parlati sul territorio.
No, se si intende che alcune lingue hanno una struttura più complessa di altre. Potenzialmente tutte le lingue, parlate o segnate, hanno la medesima capacità di trasmettere contenuti ricchi e complessi e concetti astratti. La differenza fra le lingue sta nelle circostanze in cui sono usate. Alcune lingue hanno una forma scritta e sono usate anche in contesti ufficiali (a scuola, nei tribunali, in parlamento ecc.) e nei media. Altre lingue sono usate prevalentemente nei contesti informali (in famiglia o fra amici). Le lingua che sono usate in contesti ufficiali, come l’italiano, hanno lessici specialistici (“spread”, “manierismo”, “ipotenusa”) che possono mancare nelle lingue usate nei contesti informali, come i dialetti. Tuttavia l’importanza di questa differenza non deve essere esagerata. Le lingue informali, se necessario, possono facilmente prendere in prestito la parola mancante dall’italiano e con l’uso svilupperanno un loro lessico specialistico. Per esempio, questo sta avvenendo con la LIS, mano a mano che essa viene usata nelle scuole e nelle università.