Dislessia e bilinguismo: una strada accidentata

Il disturbo rende l’apprendimento dell’ebraico una sfida difficile per gli immigrati anglofoni.

Dopo il suo trasferimento dal Regno Unito a Israele nel 2006, C. ha frequentato tre corsi intensivi di ebraico, ma non è riuscito ad apprendere nemmeno le parole più semplici. Ha perciò iniziato a pensare di avere un disturbo dell’apprendimento, anche perché aveva avuto un percorso scolastico molto difficile in Inghilterra. Aveva sempre svolto mansioni di poco conto come impiegata, e non aveva mai desiderato niente di più, perché sapeva di non poter pretendere niente di più da sé stessa.

C. sostiene di non avere nessuna idea riguardo il contenuto dell’Ulpanim (il corso di ebraico): non capiva le parole dell’insegnante, e nemmenociò che era detto o scritto. Finalmente fu sottoposta a un test nel 2009 e le fu diagnosticata la dislessia, una difficoltà nella lettura, e spesso nella scrittura.

«La diagnosi fu un sollievo per me, nel senso che non mi sono più sentita stupida», sostiene C., che chiede di rimanere anonima perché sta cercando un lavoro e non vuole che le sue difficoltà siano note ai suoi amici. «Ho capito in quel momento il motivo concreto delle mie difficoltà, ma ho iniziato a preoccuparmi di come sopravvivere in un paese di cui probabilmente non sarei stata capace di imparare la lingua, e ancor meno di saperla bene.»

La dislessia complica la vita a tutti, ma tra gli immigrati che devono confrontarsi con l’apprendimento di una nuova lingua la dislessia è un peso veramente notevole, perché impedisce loro di imparare alla stessa velocità dei loro pari. Questo disturbo è la causa principale dei problemi sociali e comportamentali di alcuni bambini -sostiene Judith Schwarcz- perché perdono l’autostima e hanno difficoltà ad integrarsi socialmente.

Judith Schwarcz è un'esperta in questo campo e ha una notevole esperienza con bambini bilingui.
È arrivata in Israele trentacinque anni fa dall’Inghilterra ed è dislessica, ma non è stata diagnosticata per anni, finché negli anni ’90 venne diagnosticata la dislessia a suo figlio Yaron.
«Quando ero bambina in Inghilterra esistevano ancora le punizioni corporali nelle scuole, così mi picchiavano e mi dicevano che ero stupida e pigra».

Gli specialisti intervistati dicono che tra i bambini e gli adulti immigrati solo pochi hanno una diagnosi. La dislessia tra gli immigrati è un problema doppio, dice A., un americano la cui figlia di 20 anni è dislessica e ha chiesto di tenere segreta la sua malattia. Conosce l’ebraico meno bene dell’inglese, la lingua parlata a casa, perché la dislessia le rende difficile leggere e scrivere.
Tuttavia, il suo ebraico parlato è molto fluente, come quello di molti altri dislessici. «Ci siamo concentrati solo sull’ebraico» ha detto una mamma «perché era impossibile concentrarci su due lingue». K. ha lavorato con Judith Schwarcz per un anno in lingua ebraica e Judith le ha dato gli strumenti per imparare, e molta fiducia in sé stessa.

La studiosa usa il cosiddetto metodo Davis, che utilizza molti stimoli visivi per insegnare nuove parole, come per esempio usare l’argilla per costruire un’immagine concreta da collegare a una parola. Si utilizzano anche molti altri metodi oltre a questo, semplicemente per calmare e non creare panico, e poter lavorare anche su parole difficili, nascondendo tutte le parole sotto la riga di lettura, in modo che la grande mole di lavoro non generi ansia.

Goldie Gilad e Eve Resnick sono cofondatori dell’associazione "Point of Change" e vivono entrambi a Kfar Saba. I due studiosi, che sono stati ritenuti idonei a lavorare usando il metodo Davis, preferiscono riferirsi alle difficoltà come "diversità’’. Molti dei loro clienti appartengono a famiglie anglofone i cui componenti hanno difficoltà in entrambe le lingue, ma più spesso in ebraico. Gilad e Kesnick, però, fanno da assistenti anche agli ebrei che hanno difficoltà con l’inglese.

«Sebbene l’ebraico sia una lingua che si legge come si scrive, a differenza dell’inglese, ha un alfabeto diverso e si legge da destra a sinistra. Inoltre, le vocali presentano un ulteriore problema, perché non si devono soltanto imparare i suoni collegati con una lettera, ma si devono unire i suoni consonantici a quelli vocalici» dice Gilad. Una donna di mezza età con la quale lavora sostiene di non voler leggere testi con tante vocali perché le danno un senso di spossatezza, mentre ad altri dislessici succede l’esatto contrario, perché essendo abituati all’inglese non immaginano le consonanti senza le relative vocali.
Gilad e Schwarcz fanno assistono molti bambini haredi, che hanno difficoltà in molte lingue: l’yiddish, l’inglese, l’ebraico, l’antico ebraico (che ha una sintassi e un sistema vocalico differenti) e l’aramaico, usato nei testi sacri. Uno dei ragazzi con i quali lavorano è provato emotivamente, perché sua madre si rivolge a lui in inglese, suo padre in yiddish e a scuola sta imparando l’antico ebraico e l’ebraico moderno.

«La lettura e la scrittura sono così importanti nella comunità haredi, che i genitori hanno difficoltà ad ammettere che i loro figli hanno un disturbo nella lettura, perciò spesso non chiedono l’aiuto all’interno della scuola, perché la disabilità è considerata in questa comunità un fatto che può impedire di sposarsi» dice Schwarcz. «Di recente, però, molte persone cercano aiuto, soprattutto i genitori, molto più che una volta, e la dislessia sta diventando sempre meno un tabù: questo è estremamente positivo. Dopotutto l’importante è riuscire ad aiutare il bambino.»

Tradotto e riassunto da un articolo di Tamar Morad, originariamente pubblicato su Haaretz. Traduzione di Giacomo Minute.